Con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti (D.Lgs. 50/2016) sono molte le modifiche apportate alle procedure di acquisizione di lavori, beni e servizi.

A tale proposito, interessanti sono le risposte dell’ANCI riguardanti l’applicazione del Codice a Durc, Cig e accesso agli atti.

Vale ancora la disposizione che consentiva per le prestazioni di servizio o forniture inferiori ad € 20.000,00 di acquisire l’autocertificazione del Durc oppure lo stesso deve essere sempre acquisito on-line?

L’art. 4, comma 2, D.L. n. 70/2011 aveva introdotto nel previgente codice il comma 14-bis all’art. 38, che prevedeva per i contratti di forniture e servizi fino a ventimila euro, stipulati con la pubblica amministrazione e le società in house, che i soggetti contraenti potessero produrre una dichiarazione sostitutiva in luogo del Durc. La norma è stata abrogata dal D.Lgs. 50/2016, per cui attualmente anche per le acquisizioni di beni e servizi inferiori ad € 20.000,00 occorre acquisire il DURC on-line.

Per gli affidamenti di patrocinio legale (es. incarichi per resistere al TAR o giudice del lavoro) e consulenze affidate in base al relativo regolamento a soggetti titolari di partita IVA deve essere acquisito il CIG?

In merito agli affidamenti di patrocinio legale, occorre preliminarmente verificarne la natura giuridica, ossia se costituiscono un appalto di servizi o una prestazione di lavoro autonomo (ex art. 7, commi 6 e 6-bis del D.Lgs. 165/2001), ai quali l’amministrazione può ricorrere a condizione della insussistenza di adeguate professionalità interne e che la prestazione sia di natura temporanea e altamente qualificata.

L’appalto di servizi viene in rilievo quando il professionista sia chiamato a organizzare e strutturare una prestazione di contenuto più ampio del patrocinio giudiziale, concernente un complesso di attività legali.

Il patrocinio legale, cioè il contratto volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente, invece è inquadrabile nell’ambito della prestazione d’opera intellettuale, in base alla considerazione per cui il servizio legale, per essere oggetto di appalto, richieda qualcosa in più, «un quid pluris per prestazione o modalità organizzativa» (cfr. determinazione AVCP n. 4/2011; Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Basilicata, deliberazione n. 19/2009/PAR).

I contratti di patrocinio legale, volti a soddisfare il solo bisogno di difesa giudiziale del cliente, in quanto inquadrabili come prestazioni d’opera intellettuale, sono esclusi dall’obbligo di richiesta del codice CIG. Devono invece ritenersi sottoposti agli obblighi di tracciabilità i contratti per i servizi legali, ora regolati dall’art. 17 del D.Lgs. 50/2016.

Per le forniture economali es. acquisti sul MePA (il vigente regolamento pone il limite di € 1.000,00) acquisite in base al codice degli appalti deve essere acquisito il CIG e si deve provvedere agli adempimenti previsti D.Lgs. 33/2013 e successive modificazioni (pubblicazioni nella sezione amministrazione trasparente)? In caso affermativo con quali modalità?

Le Linee Guida dell’ANAC relative alle “Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria”, nella parte in cui si occupano dell’obbligo di adeguata motivazione per gli affidamenti diretti di importo inferiore ad € 40.000,00 (art. 36, comma 2, lett. a, D.Lgs. 50/2016), ne consentono una attenuazione per gli «affidamenti di modico valore, ad esempio inferiori a 1000 euro, o quando l’acquisizione avviene nel rispetto del regolamento di contabilità dell’amministrazione, ovvero nel caso in cui la stazione appaltante adotti un proprio regolamento redatto nel rispetto dei principi contenuti nel Codice».

Non è chiaro se con la dizione «forniture economali» la scrivente amministrazione si riferisca alle spese economali, ossia quelle effettuate dai cassieri delle stazioni appaltanti mediante il fondo economale, con l’utilizzo di contanti, a condizione che:

È importante però distinguere tra gli acquisti in economia (afferenti alla funzione degli appalti), che soggiacciono agli obblighi di tracciabilità, e gli acquisti in economato (afferenti ad una funzione distinta dagli appalti), che ne sono esenti.

Una ditta che ha partecipato alla gara di appalto per la gestione dell’asilo nido e che ha ottenuto il punteggio più basso, ha presentato istanza di accesso agli atti finalizzata ad ottenere copia delle offerte tecniche presentate dalle altre concorrenti di cui una aggiudicataria. Tenendo conto di quanto stabilito dal nuovo Codice dei contratti, in particolare l’art. 53, e da quanto da loro dichiarato nell’istanza di partecipazione alla gara, ossia il mancato assenso alla divulgazione delle proprie offerte, supportato da esiti di sentenze varie, si chiede un parere in merito all’obbligo per la stazione appaltante di rilasciare quanto richiesto tenendo anche conto che da una prima analisi della giurisprudenza emergono sentenze di TAR e Consiglio di Stato di diverso parere.

L’art. 53 del D.Lgs. 50/2016 – dopo aver previsto che il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli arttt. 22 e ss. della Legge 7/08/1990, n. 241 – contiene una serie di prescrizioni specifiche in materia di procedure di aggiudicazione.

Innanzitutto sancisce che, in relazione alle offerte, il diritto di accesso è differito fino all’aggiudicazione.

Prevede inoltre che «il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione sono esclusi in relazione: a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali».

Tuttavia, anche in relazione a tale ipotesi, consente l’accesso al concorrente ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto. Nel caso concreto, il concorrente che ha ottenuto il punteggio più basso nella gara di appalto per la gestione dell’asilo nido, ha presentato istanza di accesso alle offerte tecniche presentate dalle altre concorrenti (che, nell’istanza di partecipazione, hanno manifestato dissenso alla divulgazione delle proprie offerte).

Si ricorda innanzitutto che il divieto accesso in commento – già contenuto nell’art. 13, comma 5 lett. a, del D.Lgs. 163/2006 – costituisce un’ipotesi di speciale deroga rispetto alla disciplina di cui alla Legge 7/08/1990, n. 241, da applicare esclusivamente nei casi in cui l’accesso sia inibito in ragione della tutela di segreti tecnici o commerciali motivatamente evidenziati dall’offerente in sede di presentazione dell’offerta.

Occorre quindi verificare se il dissenso manifestato dalle ditte concorrenti alla divulgazione delle proprie offerte, sia fondato su ragioni di tutela di segreti tecnici o commerciali, in riferimento a precisi dati tecnici. In tal caso, tenuto conto che i progetti sono il risultato di attività di studio, di ricerca e di elaborazione di dati oltre che di conoscenze personali, «possono essere interdetti alla concorrenza, onde evitare un sicuro pregiudizio economico delle imprese cui si riferiscono, salva l’ipotesi limite, preminente, della funzionalità di cura e difesa di un interesse specifico e giuridicamente rilevante dell’istante, da garantirsi con stretto riferimento ai singoli atti a tanto necessari e nelle forme meno invasive della mera visione» (impostazione condivisa dal Consiglio di Stato - Sezione VI, ord. 1/02/2010, n. 524, nonché da TAR Sardegna, 26/01/2010, n. 89 e 20/04/2006, n. 2223).

Tuttavia, onde evitare un’illimitata compressione del diritto di accesso, esponendo il sistema ad abusi e illeciti di diverso tenore, l’ordinamento assegna la funzione di fulcro del bilanciamento, da un lato, alla “motivata e comprovata” manifestazione di interesse della ditta offerente controinteressata a serbare il segreto sulla documentazione di che trattasi, e, dall’altro lato, alla positiva valutazione delle sue obiezioni da parte dell’amministrazione procedente, garantendo così la soddisfazione di entrambe le antitetiche esigenze (Consiglio di Stato - Sezione VI, 30/07/2010, n. 5062).

In base alla giurisprudenza in materia, si ritiene che siano due i presupposti che devono necessariamente coesistere ai fini del diniego dell’accesso agli atti: specifiche ragioni di tutela del segreto industriale e commerciale, in riferimento a precisi dati tecnici, i quali, inoltre, devono già essere indicati in sede di offerta; posizione qualificata nell’ambito della procedura di gara del richiedente (2° classificato): «considerato che il ricorrente, quale secondo classificato in graduatoria, riveste un posizione particolarmente qualificata nell’ambito della procedura di gara, si osserva che il diritto di accesso dal medesimo esercitato si configura strumentale ad un’eventuale azione giudiziaria, così da dover essere in ogni caso assentito» (TAR Lombardia - Milano, Sezione III, 15/01/2013, n. 116).

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