La Cassazione ultimamente ha affrontato con diverse sentenze casi di personale dipendente licenziato per aver fatto un uso distorto dei permessi di cui alla Legge 104/1992 per assistere un familiare disabile grave.

Lavoratore rimasto a casa nelle giornate di permesso

Con sentenza n. 18411 del 9/07/2019, la Suprema Corte, Sezione Lavoro, ha respinto il ricorso di un lavoratore licenziato per avere abusato, in due circostanze, del permesso ex art. 33, comma 3 Legge 104/1992.

L’agenzia investigativa assunta dalla società datrice di lavoro aveva infatti dimostrato che il dipendente, nelle giornate in cui aveva usufruito del permesso, non era mai uscito di casa, dalla mattina molto presto fino a sera inoltrata.

Il ricorrente quindi era rimasto a casa tutto il tempo e non si era recato ad assistere la zia disabile, a differenza di quello che aveva invece dichiarato. La condotta del lavoratore aveva quindi incrinato in modo insanabile il rapporto di fiducia con la società datrice di lavoro, che aveva pertanto proceduto con il licenziamento per giusta causa.

Assistenza a disabile non ricoverato stabilmente presso alcuna struttura

Con una successiva sentenza, la n. 21416 del 14/08/2019, la Cassazione Sezione Lavoro si è invece occupata del licenziamento per giusta causa di un dipendente di un’ASL che aveva dichiarato di assistere la madre disabile grave non ricoverata stabilmente presso alcuna struttura.

La ASL, a seguito di controlli, aveva invece appurato che da due anni la signora soggiornava presso una residenza sostanzialmente alberghiera.

Gli Ermellini, accogliendo il ricorso del dipendente, chiariscono il significato del comma 3 dell’art. 33 Legge 104/1992, che così stabilisce: «A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, [...] ha diritto a usufruire di tre giorni di permesso mensile retribuito».

Secondo i giudici dunque la ratio dell’istituto in esame consiste nel favorire l’assistenza alla persona affetta da disabilità grave in ambito familiare, rendendo incompatibile con la fruizione del diritto all’assistenza solo una situazione nella quale il livello di assistenza sia garantito in un ambiente ospedaliero o del tutto similare. Solo strutture di tal genere, infatti, possono farsi integralmente carico sul piano terapeutico e assistenziale delle esigenze del disabile, con ciò rendendo non indispensabile l’intervento, a detti fini, dei familiari.

Se, invece, la struttura non è in grado di assicurare prestazioni sanitarie che possono essere rese esclusivamente al di fuori di essa, si interrompe la condizione del ricovero a tempo pieno in coerenza con la ratio dell’istituto dei permessi, che è quella di consentire l’assistenza della persona invalida che non sia altrimenti garantita o per i periodi in cui questa non lo sia.

Ne consegue che il lavoratore può usufruire dei permessi per prestare assistenza al familiare ricoverato presso strutture residenziali di tipo sociale, quali case-famiglia, comunità-alloggio o case di riposo, perché queste non forniscono assistenza sanitaria continuativa mentre non può usufruire dei permessi in caso di ricovero del familiare da assistere presso strutture ospedaliere o comunque strutture pubbliche o private che assicurano assistenza sanitaria continuativa.

Svolgimento di attività varie di tipo personale

Segnaliamo un altro orientamento della Cassazione, che con Ordinanza n. 4670 del 18/02/2019, ha rigettato il ricorso di un dipendente licenziato in relazione alla contestazione di una indebita utilizzazione dei permessi ex Legge 104/1992.

Tale indebita utilizzazione era emersa a seguito di quanto appreso dalla società datrice per il tramite di un’agenzia di investigazione privata che, con riferimento ad alcuni giorni, aveva riferito che il lavoratore, anziché prestare assistenza al proprio familiare per il quale usufruiva dei permessi, aveva svolto attività varie di tipo personale (presso esercizi commerciali ed altri luoghi comunque diversi da quello deputato all’assistenza).

In proposito la Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento, ritenendo che il comportamento del lavoratore che si era avvalso dei permessi in questione per attendere ad altre attività configurasse un abuso di diritto.

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