Sinergie di Scuola

Nell’ultimo anno la Corte di Cassazione si è espressa più volte sulla fruizione dei permessi Legge 104/92. Tra le varie sentenze, ne proponiamo alcune di sicuro interesse anche per il personale scolastico.

Legge 104 e periodo di comporto

La fruizione dei permessi non presuppone un previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza o malattia (non essendo questa una condizione prevista dalla legge), ma soltanto l’attualità del rapporto di lavoro.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 3065/2016, dichiarando illegittimo il licenziamento di una lavoratrice che, terminato il periodo di comporto per malattia, non si era presentata al lavoro a seguito di richiesta di fruizione del permesso ex L. 104/92, avanzata mentre era assente per malattia (durante lo stesso periodo aveva chiesto e ottenuto il riconoscimento dello stato di handicap grave da cui deriva il diritto ai permessi).

La sentenza – come evidenziato anche dall’ARAN – riguarda una lavoratrice privata ma è applicabile anche al lavoro pubblico.

Utilizzo dei permessi per fini diversi

Riportiamo di seguito tre sentenze sul tema dell’uso improprio dei permessi e la conseguente legittimità del licenziamento per giusta causa. In tutti i casi, le sentenze riguardano il settore privato, ma quanto stabilito dai giudici è applicabile anche in questi casi ai lavoratori pubblici.

Partiamo dalla sentenza n. 9749/2016, con la quale la Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento del lavoratore che richiede i permessi previsti dalla Legge 104/92 per l’assistenza della suocera invalida, ma li utilizza per effettuare lavori in alcuni terreni di proprietà. Nel respingere, ancora una volta, il ricorso promosso da un dipendente contro il licenziamento per giusta causa comminatogli dalla azienda datrice di lavoro per uso improprio dei permessi ex L. 104/92, la Corte di Cassazione ha ribadito che: «deve ritenersi verificato un abuso del diritto allorché i permessi ex legge 104 del 1992 vengano utilizzati non per l’assistenza ad un familiare disabile bensì per attendere ad altre attività, con conseguente idoneità della condotta – in forza del disvalore sociale alla stessa attribuibile – a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro».

Inoltre, chiarisce la Corte: «ai fini della sussistenza della giusta causa di licenziamento, non è tanto rilevante l’entità del danno eventualmente arrecato a cagione della condotta addebitata, quanto piuttosto l’incidenza di quest’ultima sul vincolo fiduciario».

Quindi, se tali permessi vengono utilizzati non per l’assistenza al familiare disabile, ma per attendere ad altre attività, si verifica, in sostanza, un abuso del diritto suscettibile di rilevanza anche penale.

Sullo stesso tema, sempre la Cassazione (sentenza n. 9217/2016) ha ribadito che se il dipendente utilizza solo parzialmente i permessi per assistere la persona bisognosa, utilizzando poi il tempo rimanente per scopi personali, commette un abuso del diritto che mina la fiducia del datore di lavoro e giustifica il licenziamento. Nello specifico, il dipendente, pur avendo richiesto alcuni permessi ex L. 104/92, era stato visto recarsi presso l’abitazione dell’assistita (cognata non convivente) affetta da grave disabilità per un numero di ore inferiore a quello previsto.

Infine, segnaliamo un’altra sentenza, la n. 5574/2016, con la quale sempre gli Ermellini hanno dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore che utilizza solo in minima parte i permessi retribuiti concessigli ex L. n. 104/92 per assistere il parente disabile. Un tale comportamento viola infatti i doveri di correttezza e buona fede incrinando il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore. Nel caso in questione, a fronte di 24 ore di permessi retribuiti concessi per ciascuno dei tre giorni previsti ex comma 3, art 33, il lavoratore che utilizza ai fini assistenziali solo quattro ore e 13 minuti, pari al 17,5% del tempo totale, dimostra «un sostanziale disinteresse per le esigenze aziendali», integrando «una grave violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., idonea a legittimare il recesso per giusta causa del datore di lavoro».

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