Detto tra noi

– Di cosa parla?
– Di scuola.
– Di scuola? – Il tono di Margie era sprezzante. – Cosa c'è da scrivere, sulla scuola? Io la scuola la odio.

È questa la prima reazione di Margie, quando il 17 maggio 2157 nel solaio di casa trova un vero libro, testimonianza di un tempo antichissimo quando, come aveva raccontato il nonno di suo nonno, i bambini andavano a scuola in un edificio speciale, tutti insieme, e avevano per maestro non un maestro regolare ma un uomo. Un uomo? Come fa un uomo a fare il maestro? Che ne può sapere? pensa Margie.

Margie, che ha 11 anni, odia la scuola, una stanza collocata vicino alla sua cameretta, dove c’è un insegnante meccanico, largo, nero e brutto, con un grosso schermo sul quale sono illustrate tutte le lezioni e una fessura dove infilare i compiti fatti.

Il libro le fa tornare in mente il tempo in cui il nonno di suo nonno era bambino e a scuola andavano i ragazzi di tutto il vicinato, ridevano e vociavano nel cortile, sedevano insieme in classe, tornavano a casa insieme alla fine della giornata. Imparavano le stesse cose, così potevano darsi una mano a fare i compiti e parlare di quello che avevano da studiare. E i maestri erano persone…

Scritto nel 1954, il racconto di Isaac Asimov prefigura la scuola del futuro, neanche tanto diversa da quella che stiamo vivendo in questo periodo di emergenza da COVID19. Certo, ora i maestri sono ancora persone, anche se arrivano agli studenti tramite uno schermo, non possono essere smontati in pezzi o portati a riparare in officina se qualche settore di didattica va a pallino. Ora la didattica a distanza è ancora un surrogato/integratore della “tradizionale” (?) lezione in presenza, ora le scuole sono ancora edifici dedicati, benché temporaneamente chiusi e deserti, dove gli studenti andavano, e a Dio piacendo torneranno ad andare assieme, anche per ridere e vociare nei cortili, per parlare assieme di quello che c’è da studiare, per aiutarsi l’un l’altro.

Chissà come si divertivano i bambini di quei tempi, pensò Margie, e come dovevano amare la scuola! E chissà cos’altro avrebbe pensato, se avesse saputo che, in quel tempo antichissimo che ora noi stiamo vivendo, Giulio Giovannini, 12 anni di Scansano (GR), un suo coetaneo nella cui casa il maestro meccanico non aveva abbastanza energia per poter parlare, ogni mattina prendeva sulle spalle un tavolino, una sedia e “il maestro meccanico” facendo a piedi un bel po’ di strada fino all’unico punto, in aperta campagna, dove potersi sistemare sotto un albero e seguire le lezioni assieme ai suoi compagni, sia pure a distanza. Non si è chiesto, Giulio, come fare, se era difficile, se doveva fare molta strada, se il tavolino pesava troppo, se sarebbe piovuto o se fosse davvero arrivato fino al segnale che gli serviva. Si è alzato e si è messo a camminare finché ha trovato la soluzione al suo problema. Tutto questo perché non solo si diverte a stare con i suoi compagni, che può vedere solo attraverso uno schermo, ma perché ama profondamente la scuola e perché, come ha anche detto un uomo saggio (Sergio Mattarella, videomessaggio del 27 aprile n.d.r.), "le scuole chiuse sono una ferita per tutti".

E se basta un vecchio libro dalle pagine ingiallite a far sospirare Margie che immagina una scuola diversa dalla sua, una scuola che anche lei avrebbe amato perché ricca di contatto umano e aiuto reciproco, può non bastare l’immagine di un bambino piazzato sotto un albero su un tavolino traballante a farci capire il significato, l’importanza, il valore della SCUOLA? A farcela amare?

Certo, per i bambini è facile, e magari si divertono pure, ma non sarebbe tanto una cattiva idea se anche noi adulti talvolta, invece di farci mille domande sul perché e il percome e criticare e brontolare per quello che non va, provassimo a prendere in spalla l’occorrente e cercassimo un punto, un sistema per migliorare la situazione. Ognuno nel suo piccolo, naturalmente.

Forse basterebbe uno scatolone di arnesi e quadranti, come quello dell’Ispettore della Contea. O una manciata di buona volontà come quella di Giulio.

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