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I pubblici dipendenti sono direttamente interessati da un argomento del diritto penale che riguarda una categoria di reati propri (ovvero quelli che possono essere posti in essere solo da determinati soggetti); nello specifico, dalla materia dei reati contro la pubblica amministrazione.

Il titolo II del libro II del codice penale, al capo I disciplina i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, mentre al capo II regola i delitti dei privati.

Le norme riguardano:

  • i pubblici ufficiali, che, a norma dell’art. 357 del codice penale, sono coloro che esercitano una pubblica funzione, legislativa, giudiziaria o amministrativa (intendendosi quella attività normata dal diritto pubblico che concerne la manifestazione di volontà della pubblica amministrazione tramite poteri certificativi o autoritativi);
  • gli incaricati di pubblico servizio che, in base all’art. 358 del codice, sono quelli che a qualsiasi titolo svolgono un pubblico servizio, quale attività disciplinata come una pubblica funzione ma senza i poteri tipici di quest’ultima, con esclusione delle attività meramente materiali;
  • gli esercenti servizi di pubblica necessità, quali i privati che esercitano determinate professioni cui per legge i cittadini debbano avvalersi (es. notai) o servizi dichiarati di pubblica necessità con atto amministrativo.

Con la Legge 3/2019, in vigore dal 31 gennaio, il legislatore è intervenuto su un tema che riguarda da vicino i dipendenti pubblici, modificando alcune norme in tema di reati contro la pubblica amministrazione e inasprendo, in taluni casi, le pene.

La legge, definita provvedimento “Spazza corrotti”, interviene nel settore prevedendo l’utilizzo di strumenti nuovi, come gli agenti infiltrati, e prevede l’inasprimento delle pene, soprattutto quelle accessorie, che in taluni casi diventano forse più dure della sanzione principale.

Con la modifica dell’art. 317-bis, ad esempio, viene previsto che la interdizione dai pubblici uffici, pena accessoria prima graduata in relazione alla gravità della pena principale, e comunque temporanea in caso di condanna inferiore a tre anni, diventi perpetua in caso di condanna superiore ai due anni. Viene inoltre consentito al giudice, in sede di condanna, di prevedere che qualora si utilizzino strumenti che comportano effetti sulla pena accessoria (es. sospensione condizionata della pena), possa permanere la pena interdittiva accessoria stessa, graduandola.

Di seguito, il nuovo testo dell’art. 317-bis:

Pene accessorie
La condanna per i reati di cui agli articoli 314, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio. Nondimeno, se viene inflitta la reclusione per un tempo non superiore a due anni o se ricorre la circostanza attenuante prevista dall’articolo 323-bis, primo comma, la condanna importa l’interdizione e il divieto temporanei, per una durata non inferiore a cinque anni né superiore a sette anni.
Quando ricorre la circostanza attenuante prevista dall’articolo 323-bis, secondo comma, la condanna per i delitti ivi previsti importa le sanzioni accessorie di cui al primo comma del presente articolo per una durata non inferiore a un anno né superiore a cinque anni.

Principali reati contro la P.A.

Il codice annovera molteplici figure di reato contro la pubblica amministrazione, ma alcune ipotesi rappresentano fattispecie di frequente configurazione, o quanto meno di maggiore impatto mediatico, oltre che foriere di conseguenze penali estremamente gravi.

Di seguito quelle più rilevanti.

Concussione

La concussione, a norma dell’art. 317 codice penale, prevede che: «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni».

Elemento fondamentale della fattispecie è la condotta dell’agente, consistente nella costrizione, effettuata verso terzi, ad eseguire un determinato comportamento penalmente rilevante; la costrizione distingue l’ipotesi della concussione dalla «Induzione indebita a dare o promette utilità», che invece, a norma dell’art. 319-quater, pur essendo figura affine, si distingue poiché si concretizza non nella costrizione, ma nell’induzione a dare o promettere indebitamente denaro o altra utilità, rimanendo il resto della figura del tutto simile alla concussione.

Corruzione

Altra ipotesi rilevante è la corruzione, che si distingue in due fattispecie:

Corruzione per l’esercizio della funzione – Art. 318 c.p.

L’art. 318 recita: «Il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da tre a otto anni».

Tale forma di corruzione è definita corruzione impropria, poiché non diretta finalisticamente a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio.La normativa precedente prevedeva per la corruzione per l’esercizio della funzione la pena della reclusione da uno a sei anni; è evidente l’inasprimento previsto con la normativa di riforma.

Corruzione propria – Art. 319 c.p.

«Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio. - Il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver commesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve, per sé o per u terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punti con la reclusione da sei a dieci anni».

Tale disposizione non è stata modificata dalla riforma.

Abuso d’ufficio

Ancora, degna di rilievo è la figura dell’abuso di ufficio, fattispecie di cui si discute negli ultimi giorni per una sua possibile modifica o abrogazione. L’ipotesi, c’è da dire, è figura estremamente indeterminata, spesso utilizzata in giudizio per punire una serie eterogenea di condotte.

A norma dell’art. 323 del codice, si prevede che «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punibile con la reclusione da uno a quattro anni».

Come leggibile, nella fattispecie rientrano diverse figure comportamentali, sia omissive che commissive, nella rilevanza del conflitto di interessi e con la finalità di procurare, sia per sé che per altri, ingiusti vantaggi patrimoniali (come noto, concetto estensibile non alla sola ipotesi di dazione di denaro), oppure arrecare ad altri un danno ingiusto.

Con la legge di riforma non sono intervenute modifiche alla fattispecie.

Peculato

Infine, degna di rilievo per la sua non infrequente configurazione è la figura del peculato che punisce, a norma dell’art. 314 codice penale, il pubblico ufficiale che, avendo una cosa in possesso o disponibilità per ragione del suo ufficio, se ne appropria; la pena ordinaria, da quattro a dieci anni di reclusione, è ridotta da sei mesi a tre anni nel caso del c.s. “peculato d’uso”, ricorrente quando l’uso della cosa è solo momentaneo.

Causa di non punibilità

La normativa di riforma ha introdotto una importante causa di non punibilità valevole per i più importanti reati contro la pubblica amministrazione; si tratta dell’art. 323-ter, a norma del quale non è punibile chi ha commesso tali reati se, prima di avere conoscenza di indagini sul proprio conto, denuncia il fatto entro 4 mesi o fornisce notizie rilevanti per la indagini, purché restituisca il profitto o il prezzo della condotta illecita o offra elementi utili per individuare il beneficiario effettivo.

La norma, evidentemente, tende a favorire la collaborazione anche di chi sia responsabile di una condotta criminosa, al fine di agevolare le indagini e assicurare eventuali altri responsabili alla giustizia, e offrendo come alternativa la non punibilità.

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