Sinergie di Scuola

Il pubblico impiego è stato connotato, storicamente, da una consolidata stabilità; il “posto fisso” tradizionalmente inteso ha rilevato, per molti anni, poco frequenti vicende modificative, quali trasferimenti, ancor meno situazioni estintitive quali le dimissioni.

I mutamenti nello status del pubblico dipendente privatizzato (che, nella con­cezione stessa dell’impiego alle dipen­denze dell’amministrazione, è sempre più oggetto di professionalizzazione, valutazione, e e interessato da legittime aspirazioni di carriera) hanno comportato la necessità di affrontare con maggiore frequenza istituti che alla mobilità e al cambiamento del posto di lavoro sono connessi.

Un recente parere ARAN, CFL60, intervenuto a proposito del comparto Funzioni Locali ma riferibile alla normativa generale del pubblico impiego, offre l’occasione per trattare di fattispecie di comune verificazione.

Assunzione presso altra amministrazione

Nel caso il dipendente transiti tra due amministrazioni distinte a seguito di superamento di concorso pubblico o altra forma di selezione, occorre considerare il vincolo che si instaura come un nuovo rapporto di lavoro, sotto tutti i punti di vista, e ciò a prescindere dal residuo – e temporaneo – legame che si mantiene con la precedente amministrazione (che di regola, con qualche differenza nei vari contratti, consente di mantenere il diritto al posto di lavoro per la durata del periodo di prova nella nuova amministrazione).

Di conseguenza, come spiega il parere ARAN citato, per quanto riguarda il computo delle assenze per malattia, le stesse «intervenute nel primo rapporto di lavoro non possono essere computate nell’ambito del secondo, trattandosi di due autonomi e distinti rapporti di lavoro», poiché, estinguendosi il rapporto precedente, tutte le situazioni soggettive fondate su quel rapporto, vengono meno.

Se, di conseguenza, il periodo di comporto ricomincia a decorrere ex novo, lo stesso non può dirsi per altri casi di benefici “soggettivi”. Un caso emblematico è il congedo biennale straordinario per l’assistenza ai disabili: tale congedo è disciplinato dall’art. 42, comma 5 del D.Lgs. 151/2001, che sul punto rimanda all’art. 4, comma 2 della Legge 53/2000, e, come noto, consente ai lavoratori dipendenti di poter richiedere un periodo di congedo di massimo due anni, anche frazionabile, per poter assistere familiari disabili in condizioni di gravità.

Ebbene, tale congedo, a norma dell’art. 42, comma 5-bis del citato D.Lgs. 151/2001 «non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa». Dal tenore letterale della disposizione si desume quindi che il conteggio del congedo prescinde dai cambiamenti di ruolo, mansione, amministrazione effettuati nella propria carriera, e che quindi il termine dei due anni segue la vita lavorativa del dipendente; i periodi pregressi vanno quindi conteggiati dalla amministrazione di destinazione ai fini del raggiungimento della quota massima di giorni consentita.

Passaggio tra amministrazioni tramite mobilità

Il passaggio tra amministrazioni che riguarda il personale amministrativo è, invece, regolato generalmente dall’art. 30 del D.Lgs. 165/2001.

Si argomenta in proposito dell’istituto della mobilità nelle sue linee generali e con riferimento alle conseguenze che la fattispecie comporta nella gestione del rapporto di lavoro, in disparte quindi delle peculiarità afferenti al personale docente quali ad esempio quelle previste dall’art. 1, comma 133 della Legge 107/2015.

In linea generale, l’art. 30 citato prevede al comma 1 che «Le amministrazioni possono ricoprire i posti vacanti in organico mediante passaggi diretto di dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell’amministrazione di appartenenza».

Questa ipotesi è, in relazione alle conseguenze e al pregresso della vita lavorativa del dipendente, nettamente distinta dalla precedente.

Come rammentato dal parere ARAN citato, infatti «[...] in tutti i casi di mobilità di personale tra enti o amministrazioni, non vi è costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, ma la continuazione del precedente rapporto, con i medesimi contenuti e caratteristiche, con un nuovo datore di lavoro. Quindi, a seguito dell’assegnazione al nuovo ente, non si costituisce nuovo rapporto, ma più semplicemente quello intercorrente con l’ente di precedente appartenenza prosegue, con i medesimi contenuti e caratteristiche, con il nuovo datore di lavoro. Conseguentemente, proprio perché si tratta della prosecuzione del precedente rapporto di lavoro, il nuovo datore di lavoro, ai fini dell’amministrazione del rapporto, relativamente ai vari istituti concernenti le diverse forme di assenze dal lavoro (aspettative, ferie, malattia, ecc.), potrà tenere conto, ai fini del rispetto delle regole e degli eventuali limiti quantitativi stabiliti dalla disciplina contrattuale, anche di quelle già fruite per il medesimo titolo presso l’amministrazione di originaria appartenenza».

L’ARAN, con tale interpretazione, si pone sulla scia di una consolidata tendenza giurisprudenziale che indica la mobilità tra amministrazioni come tipico caso di cessione di contratto; su tutte le pronunce della Corte di Cassazione e della Corte dei Conti, si può rammentare l’ordinanza Cassazione sez. Lavoro n. 7652 del 2019, per cui con la formula «passaggio diretto», contenuta nell’art. 30 del D.Lgs. 165/2001, si attua un trasferimento di personale «che è inquadrabile nella fattispecie della cessione di contratto disciplinata dagli artt. 1406 cod. civ. e segg., visto che comporta il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto, lasciando immutati gli elementi oggettivi essenziali; si è aggiunto che l’individuazione del trattamento giuridico ed economico da applicare ai dipendenti trasferiti deve essere effettuata, sulla base dell’inquadramento presso l’ente di provenienza, nell’ambito della disciplina legale e contrattuale propria del comparto dell’amministrazione cessionaria, ed a tal fine occorre tener conto anche delle posizioni economiche differenziate, attraverso le quali si realizza, sia pure all’interno dell’area, una progressione di carriera».

Se le concordanti opinioni istituzionali quindi sottolineano il sostanziale proseguimento del rapporto in caso di mobilità tra vecchio e nuovo datore di lavoro, con “trasferimento” anche di situazioni pregresse (es. le ferie, il conteggio delle malattie ai fini del comporto, finanche i permessi), occorre sottolineare che, recentemente, sempre la Corte di Cassazione mostra di frenare sul riconoscimento, soprattutto, dei diritti del personale che transita per mobilità.

Con l’ordinanza n. 6337/2019, la Cassazione, ad esempio, ha rigettato la domanda del ricorrente che chiedeva, dopo il suo passaggio volontario ad altra amministrazione, di essere inquadrato in una corrispondente area funzionale del tutto uguale a quella di provenienza; considerate le differenti amministrazioni, i giudici hanno chiarito, rigettando le pretese del dipendente, che l’inserimento del lavoratore in un diverso contesto organizzativo, con diverse regole normative e retributive, comporta che al dipendente trasferito si applichi il trattamento economico (fondamentale, accessorio e normativo) previsto presso l’amministrazione di destinazione, non potendosi, diversamente, giustificare differenti trattamenti tra dipendenti dello stesso Ente in relazione alla provenienza.

Ancora, la Corte di Cassazione, con ordinanza sez. lavoro 15281/2019 non ha riconosciuto l’anzianità maturata nell’ente di provenienza, requisito utile per partecipare ed ottenere la progressione orizzontale nell’amministrazione di destinazione; con detta pronuncia, i giudici hanno quindi ritenuto legittimo escludere dalla progressione i dipendenti transitati per mobilità, potendo le parti (la parte datoriale) decidere, autonomamente, di attribuire rilievo all’esperienza professionale maturata presso quel comparto, e così di riconoscere la progressione economica solo in favore di quei dipendenti che entro un’indicata data avessero maturato un’anzianità di almeno un anno nella posizione economica inferiore esclusivamente nella medesima amministrazione.

Come descritto, quindi, l’argomento riserva diverse letture e sorprese, per cui l’approfondimento, sia per i lavoratori soggetti al transito, che per le amministrazioni di provenienza e destinazione, risulta quanto mai necessario.

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