Sinergie di Scuola

È incredibile apprendere, dalla lettura della sentenza della Corte di Cassazione n. 40291/2017, che gli alunni di una classe seconda di una scuola primaria siano stati sottoposti al controllo del proprio comportamento da parte della psicologa che collabora con la scuola, senza che fossero stati informati preventivamente i genitori.

L’attività “ispettiva” era stata richiesta da due insegnanti della classe, e autorizzata dal Dirigente scolastico, senza dare alcuna comunicazione alle famiglie e senza il preventivo consenso dei genitori degli alunni. All’esito dell’osservazione, la dottoressa aveva stilato una relazione clinica, dedicando una parte specifica ad un allievo, che aveva manifestato problematiche comportamentali, esprimendo la necessità di segnalare la situazione ai genitori del bambino. La relazione era stata consegnata agli insegnanti e al Dirigente, la quale aveva omesso di protocollarla e, all’insediamento del nuovo dirigente, gliela aveva consegnata.

I genitori del minore “vivace” erano venuti a conoscenza della relazione solo a fine anno scolastico, durante un colloquio con le maestre, e a seguito di molteplici richieste di accesso a tutta la documentazione scolastica relativa al figlio, mai evase, avevano ricevuto successivamente una lettera di risposta in cui il nuovo Dirigente scolastico comunicava di aver inviato tutti i documenti e che altri atti eventualmente esistenti, in quanto non protocollati, erano da ritenersi nulli o irrilevanti.

La relazione della psicologa era stata infine consegnata dal preside solo a seguito di decreto di esibizione della Procura della Repubblica.

Quali reati degli insegnanti e del Dirigente scolastico

Il Dirigente scolastico è stato accusato di aver commesso il reato punito dall’art. 479 c.p. per aver attestato il falso nella lettera di risposta ai genitori del minorenne ritenuto problematico, nonché dall’art. 361 c.p., per aver omesso di denunciare il reato di occultamento della relazione della psicologa compiuto dall’ex dirigente. A quest’ultimo è stato invece contestato il delitto previsto dall’art. 490 c.p. per aver occultato la relazione della psicologa senza protocollarla. Infine, le maestre sono state accusate, a norma dell’art. 610 c.p., di aver sottoposto i minori ad osservazione psicologica senza il consenso dei genitori.

A carico del nuovo Dirigente scolastico è tuttora pendente, in fase di appello, un procedimento penale per lo stesso fatto, conclusosi in primo grado con sentenza di condanna a due mesi di reclusione, in ordine al diverso reato di cui all’art. 328 comma 2 c.p., per rifiuto di compiere un atto d’ufficio in riferimento alla richiesta di accesso ai documenti.

Appare parimenti assurda l’assoluzione dei due dirigenti e delle maestre, da parte del giudice dell’udienza preliminare, che ha rilevato che:

  • non è configurabile il delitto di violenza privata, da un lato, in quanto l’attività svolta dalla psicologa, ossia l’osservazione dei minori durante le ore di lezione, non si sarebbe sostanziata in atti impositivi riconducibili alla fattispecie tipica della violenza privata, dall’altro, in quanto il mancato consenso dei genitori non può essere equiparato al dissenso richiesto dalla norma incriminatrice;
  • l’imputazione di falso per soppressione è generica, in quanto non è specificato se riguardi un atto pubblico o una scrittura privata, e in ogni caso infondata, poiché l’ex dirigente non distrusse od occultò la relazione redatta dalla dottoressa, ma si limitò a non protocollarla;
  • venuto meno il reato di falso per soppressione, cade l’addebito di cui all’art. 361 c.p. collegato alla omessa denuncia, da parte del nuovo dirigente, dell’occultamento della relazione;
  • la missiva in cui il nuovo dirigente ha risposto ai genitori del minore con disturbi comportamentali, che tutta la documentazione era stata consegnata, non è oggettivamente falsa, in quanto il tenore complessivo di essa non esclude radicalmente la presenza di altra documentazione e, in ogni caso, è dubbio che detta missiva rientri nel novero degli atti pubblici.

La decisione della Cassazione

È interessante notare come le argomentazioni del giudice dell’udienza preliminare (GUP) siano state smontate punto per punto dalla Cassazione.

Questa ultima, infatti, ha rilevato che la pronuncia del GUP è errata laddove riduce la violenza privata ad una attività che si «sostanzia in azione di forza sulle persone», anziché considerare che la violenza può «essere posta in essere con qualsiasi mezzo idoneo a privare il soggetto passivo [il minore, nel nostro caso, n.d.a.] della possibilità di determinarsi ed agire secondo la propria volontà».

Il giudice, in altre parole, non ha tenuto conto della c.d. violenza impropria: nel caso specifico sarebbe stato disposto un trattamento sanitario su minori (osservazione medico-clinica) senza il consenso dei genitori, in assenza sia di ragioni di urgenza sia di finalità terapeutiche, con lesione, da un lato, dell’integrità psichica dei minori e, dall’altro, con ingiusta compressione al libero esercizio della potestà genitoriale.

Il mancato consenso dei genitori

È sempre necessario il consenso dei genitori affinché lo psicologo della scuola possa osservare e trarre informazioni dal comportamento dei ragazzi durante l’orario scolastico?

Secondo il GUP, il mancato consenso dei genitori non equivarrebbe necessariamente a dissenso, mentre per i ricorrenti l’assenza di consenso (e più in generale l’assoluta ignoranza del fatto) da parte dei genitori rappresenterebbe un dato cruciale.

Anche questa volta, la Cassazione ha smentito l’assunto del GUP, richiamando una propria precedente sentenza n. 13538 del 10/02/2015, con la quale aveva affermato che «integra il reato di violenza privata la condotta di chi, abusando della sua qualità di insegnante di sostegno ed approfittando dello stato di soggezione e di incapacità di un minore portatore di handicap, costringa questi, senza autorizzazione del genitore, a subire un taglio di capelli».

Si è sostenuto, in tale pronuncia, che la violenza è consistita nell’approfittamento dello stato di soggezione e di incapacità dello studente e nell’aver voluto ignorare l’implicito dissenso della madre del bambino, la quale si era riservata di attuare o far effettuare tale operazione nel momento più propizio e con gli accorgimenti più opportuni, per non turbare il delicato equilibrio psichico del minore.

Si può quindi affermare che «l’assenza di un esplicito consenso da parte di chi sia legittimato a prestarlo», vale a dire i genitori del minore nel nostro caso, «integri certamente una compressione della libertà di autodeterminazione dell’alunno stesso».

Diversamente, quindi, da quanto sostiene il GUP nella sentenza impugnata, il mancato consenso espresso dai genitori dei minori sottoposti ad osservazione, mai informati dell’attività che sarebbe stata posta in essere riguardo ai loro figli, avrebbe potuto essere interpretato come dissenso.

Questa ultima conclusione è ancor più vera laddove si consideri la circostanza che, qualora l’attività della psicologa fosse consistita in una osservazione dei comportamenti tenuti dai bambini durante le ore di lezione al solo fine di suggerire un indirizzo pedagogico ai docenti, la psicologa stessa avrebbe avuto il ruolo di “consulente” della maestra per suggerirle indirizzi didattici – non involgendo, quindi, in alcun modo i comportamenti degli alunni – si sarebbe potuto escludere che l’attività di osservazione potesse interferire nella sfera personale degli alunni e quindi necessitare del preventivo consenso dei genitori.

Il consenso preventivo di questi ultimi, invece, era necessario poiché oggetto dell’osservazione erano proprio i comportamenti degli alunni e ancor di più, di alcuni degli alunni ritenuti portatori di problematiche.

In questo secondo caso, a prescindere dal fatto che siano stati o meno somministrati test o che le lezioni siano state specificamente modulate, non vi è dubbio che l’osservazione delle condotte in classe, al fine di trarne elementi per formare una valutazione degli alunni sotto il profilo comportamentale e prendere ulteriori provvedimenti, rappresentava una invasione delle sfere personali degli alunni che, come tale, necessitava del beneplacito delle famiglie.

Relazione dello psicologo: atto pubblico o certificato amministrativo?

La relazione conclusiva della dottoressa è atto pubblico, in quanto documenta l’attività di osservazione degli alunni compiuta dalla psicologa dell’istituto, che, in tale veste, ha funzioni di pubblico ufficiale.

Tale qualifica è costantemente riconosciuta agli insegnanti dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass., Sez. V, n. 15367 del 12/02/2014) e per identità di ragioni – vale a dire in quanto si tratta di un soggetto che svolge una funzione disciplinata da norme di diritto pubblico e caratterizzata dalla manifestazione della volontà della Pubblica amministrazione e dal suo svolgersi attraverso atti autoritativi e certificativi – deve essere estesa alla psicologa dell’istituto, qualora abbia compiti di non esclusivo supporto tecnico ai docenti, ma di diretta osservazione e valutazione degli alunni.

Diversamente da quanto ritenuto dal GUP, al fine di commettere il reato punito dall’art. 490 c.p. (soppressione, distruzione e occultamento di atti veri), è sufficiente che un atto giuridicamente rilevante sia reso anche solo temporaneamente irreperibile (v. Cass. 8989/2000 che ha statuito: «Integra l’elemento materiale del reato di occultamento di atto vero la condotta del pubblico ufficiale che ometta di protocollare un documento, dal momento che l’agente, in tal modo, ha reso fisicamente inesistente l’atto stesso sottraendolo alla conoscenza del destinatario, né l’eventuale reperimento del documento quando le indagini di polizia giudiziaria siano state avviate vale ad escludere o neutralizzare l’avvenuto occultamento, rappresentando un post factum irrilevante»).

Risposta del dirigente: atto pubblico o certificazione amministrativa?

La risposta ad una richiesta di accesso agli atti da parte del privato va definita quale certificazione amministrativa e non già come atto pubblico.

«Al fine di qualificare come certificato amministrativo un atto proveniente da un pubblico ufficiale devono concorrere due condizioni: che l’atto non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate; che l’atto, pur quando riproduca informazioni desunte da altri atti già documentati, non abbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica, ma si limiti a riprodurre anche gli effetti dell’atto preesistente» (v. Cass., Sez. V, n. 6912 del 27/04/1999, Rv. 213609).

Il criterio che caratterizza l’atto pubblico e lo distingue dal certificato amministrativo non è tanto da ricercare nel carattere costitutivo dell’atto, quanto nella appartenenza o meno del fatto attestato alla sfera di attività del pubblico ufficiale. Sono, pertanto, da considerarsi certificazioni amministrative solo le attestazioni di verità o di scienza del pubblico ufficiale che non rientrano nella documentazione di attività da lui spiegate o di fatti avvenuti alla sua presenza.

Evidentemente, quindi, la risposta data dal funzionario ad una richiesta di accesso agli atti della Pubblica amministrazione, in merito alla presenza o meno di un determinato atto pubblico, va qualificata come certificazione amministrativa.

La falsità del certificato è punita ai sensi dell’art. 480 c.p. (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative) e non dell’art. 479 c.p. (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici). Il primo articolo prevede una pena più lieve.

Il certificato del dirigente era falso perché in esso si affermava, contrariamente al vero, che tutta la documentazione era stata consegnata ai richiedenti, quando invece la relazione della psicologa era rimasta in possesso del preside.

Leggi altri contenuti su:

© 2024 HomoFaber Edizioni Srl - Tutti i diritti riservati. Sono vietate la copia e la riproduzione senza autorizzazione scritta. Sono ammesse brevi citazioni ed estratti indicando espressamente la fonte (Sinergie di Scuola) e il link alla home page del sito.