Sinergie di Scuola

Siamo quasi arrivati in dirittura d’arrivo.

Lo scrutinio finale, tra breve, decreterà il successo o l’insuccesso del percorso scolastico di ciascun alunno nel corrente anno scolastico.

Le decisioni assunte collegialmente dagli organi competenti (Consiglio di classe, équipe pedagogica) possono tuttavia essere rimesse in discussione poiché – come ho già avuto modo di sottolineare nel numero scorso – non può essere in nessun caso esclusa la possibilità di ricorsi prevista dall’art. 113 della Costituzione.

Differenza tra impugnazione al TAR ed esposto/reclamo

In tema di opposizione alle deliberazioni emanate dall’Istituzione scolastica giova innanzitutto sottolineare la differenza tra impugnazione in via giurisdizionale al TAR ed esposto o reclamo, differenza ben espressa in una nota dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana D.D. 8/05/2018 avente per oggetto: “Reclami e contenzioso relativi agli esiti degli scrutini e degli esami di Stato. Buona gestione dei processi e produzione della relativa documentazione”.

Dalla nota si evince chiaramente che i provvedimenti adottati dagli organi collegiali della scuola e dalle commissioni d’esame riguardanti le valutazioni degli alunni sono atti definitivi, per i quali non è previsto il ricorso gerarchico possibile, in via generale, per gli atti amministrativi non definitivi.

In altre parole, ogni Consiglio di Classe è competente ad esprimere giudizi connotati da discrezionalità tecnica «anche perché non esiste un organo gerarchicamente superiore alle Commissioni d’esame e ai Consigli di classe».

La discrezionalità tecnica può essere definita come la possibilità di scelta, riconosciuta alla pubblica amministrazione, basata sulla verifica della sussistenza di determinati prerequisiti di natura tecnica richiesti dalla legge.

In tema di valutazione degli apprendimenti maturati da ogni alunno, la legge riserva quindi la facoltà di giudizio ai suddetti Organi collegiali, considerate le competenze tecniche proprie dei docenti.

In caso di “semplice” esposto/reclamo presentato al Dirigente scolastico, quest’ultimo non è necessariamente tenuto ad aprire un procedimento di riesame; ciò, secondo quanto riportato nella suddetta nota dell’USR Toscana, «anche quando l’attivazione del procedimento è sollecitata dal privato che ha interesse alla modifica o alla rimozione dell’atto».

Nel caso sopra indicato, è il Dirigente scolastico a decidere di esercitare o meno il potere di autotutela aprendo un procedimento di secondo grado, soggetto alle regole generali della Legge 241/1990; quest’ultima decisione è rimessa quindi alla discrezionalità dell’amministrazione (cioè del Dirigente stesso). Dalla circolare suddetta: «[...] si darà corso all’avvio del procedimento di autotutela solo nei casi in cui l’amministrazione avrà valutato la sussistenza dei presupposti e delle ragioni di pubblico interesse alla sua attivazione e non perché, di per sé, sussista un obbligo giuridico di avviarlo».

Se non vi è obbligo di aprire un procedimento di riesame per ogni esposto/reclamo ricevuto dall’istituzione scolastica, in caso di ricorso al TAR, l’Avvocatura dello Stato, per consentire lo svolgimento della difesa, è tenuta a richiedere all’Istituzione scolastica la documentazione inerente il caso, accompagnata da una specifica relazione del Dirigente scolastico o del Presidente della Commissione d’esame contenente puntuali considerazioni sulle contestazioni oggetto del ricorso, in particolare sui fatti narrati e sulle criticità in tema di procedura e di valutazione.

In caso di contenzioso, il giudice dovrà infatti valutare il corretto esercizio della discrezionalità tecnica sopra citata attraverso la verifica della conformità del procedimento al parametro normativo ovvero ai criteri deliberati previamente dall’organo stesso, accertando la non sussistenza di vizi di manifesta illogicità, difetti di istruttoria e travisamenti dei fatti.

Com’è ribadito dal Consiglio di Stato (sent. n. 4663 del 2010: Valutazione degli studenti e discrezionalità tecnica – ambito e limiti del corretto esercizio), la sentenza del giudice può applicarsi alla sola attendibilità delle operazioni tecniche effettuate, in termini di verifica del rispetto delle regole stabilite in relazione al potere discrezionale e di conformità ai principi che governano, in generale, l’esercizio del potere pubblico.

La valutazione del rendimento scolastico e del comportamento espressa da ogni Consiglio di classe può quindi ritenersi insindacabile a condizione che (oltre ad aver rispettato le regole formali) i docenti (come ha affermato la sentenza del Consiglio di Stato n. 4154 del 2002) abbiano preso in considerazione «tutti i dati obiettivi secondo le indicazioni fornite dalla disciplina applicabile».

L’importanza della verbalizzazione

In quest’ottica, la verbalizzazione nello scrutinio finale costituisce, in termini di trasparenza, un elemento sostanziale di registrazione della correttezza dell’iter svolto nel corso delle operazioni conclusive.

Va preliminarmente osservato che, anche se a volte in sede di prescrutinio vengono già formate alcune delle decisioni che in seguito saranno adottate, non deve essere commesso (e reso esplicito con un verbale troppo sommario) l’errore di considerare lo scrutinio conclusivo come una mera ratificazione di un percorso valutativo già definito.

Tale affermazione si coniuga con il fatto che le decisioni definitive, di norma, vanno prese solo in sede di scrutinio finale programmato al termine delle lezioni.

Questo elemento, preso spesso in considerazione nei ricorsi, è in linea con il D.Lgs. 297/1994 art. 193, nel quale si legge che «i voti di profitto e di condotta degli alunni, ai fini della promozione alle classi successive alla prima, sono deliberati dal consiglio di classe al termine delle lezioni».

Svolgimento degli scrutini e termine delle lezioni

Tuttavia, esiste anche un’interpretazione diversa della normativa riguardo alla legittimità dello svolgimento degli scrutini rispetto al termine delle lezioni. Secondo tale interpretazione, non va considerato l’ultimo giorno di lezione previsto dal calendario scolastico, bensì la durata minima delle lezioni, cioè i 200 giorni o monte orario equivalente.

È di indubbia evidenza, infatti, che la decisione di anticipare tutti o in parte gli scrutini in relazione all’esigenza di presenza di docenti impegnati su più classi o Istituti, nonché del Dirigente scolastico (in un numero crescente di casi impegnato in un Istituto di titolarità e uno di reggenza) risponda al criterio definito in giurisprudenza di “bilanciamento degli interessi”, la cui applicazione è demandata al Dirigente scolastico in relazione al numero delle classi da scrutinare.

Per inciso, in caso di anticipo degli scrutini per cause di forza maggiore, sembrerebbe peraltro del tutto inefficace – se non addirittura illegittima – la consuetudine di convocare il collegio dei docenti per ratificare le valutazioni espresse da ogni consiglio di classe nelle sedute finali.

Come deve essere scritto il verbale

Tornando alla correttezza formale delle operazioni di scrutinio finale, sembra necessario ribadire l’importanza della verbalizzazione, che richiede il rispetto di alcuni principi fondamentali e deve contenere elementi atti a motivare le decisioni assunte.

Il verbale deve essere redatto con precisione e risultare esaustivo, in quanto rappresenta il documento più importante rispetto alla validità delle deliberazioni formulate nella seduta del Consiglio di classe poiché è l’unico che descrive e ratifica lo svolgimento della riunione e delle decisioni adottate dall’Organo Collegiale. Esso «non è sostituibile da altri elementi di prova, ancorché racchiusi in un atto scritto che abbia una funzione diversa da quella documentante ovvero da presunzioni di indizi» (Consiglio di Stato, Sentenza n. 1113/1992).

Nella prima parte del verbale – quella che può definirsi “formale” poiché dà conto dell’applicazione delle norme finalizzate a garantire la legalità dell’Organo collegiale e delle decisioni adottate dallo stesso – si suggerisce di citare le disposizioni che regolano la valutazione degli apprendimenti e del comportamento, nonché il riferimento ai criteri definiti dal collegio dei docenti ed inseriti nel PTOF, recentemente integrati con le nuove disposizioni previste dal D.Lgs. 62/2017, entrate in vigore nel corrente anno scolastico.

Tra questi criteri si annoverano i descrittori relativi ai seguenti aspetti:

  • definizione dei differenti livelli di apprendimento;
  • definizione del livello globale di sviluppo degli apprendimenti;
  • valutazione dell’insegnamento della religione cattolica;
  • definizione dei giudizi sintetici per la valutazione delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica,
  • modalità di valutazione degli insegnamenti curricolari per gruppi di alunne e di alunni;
  • modalità di valutazione delle attività e degli insegnamenti finalizzati all’ampliamento e all’arricchimento dell’offerta formativa.

Andranno, inoltre, riportate sinteticamente le strategie attivate per il miglioramento dei livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione, le iniziative finalizzate alla promozione e alla valorizzazione dei comportamenti positivi delle alunne e degli alunni (anche con il coinvolgimento delle famiglie), le attività svolte nell’ambito di Cittadinanza e Costituzione che saranno oggetto di valutazione, nonché le competenze sviluppate in situazioni di apprendimento non formale e informale che la scuola si è proposta di valorizzare in relazione alla certificazione delle competenze.

Concluderà il settore la definizione delle modalità di comunicazione alle famiglie in merito alla valutazione del percorso scolastico.

Nella parte successiva del verbale, quella centrale, vanno riportati i discorsi tenuti nella riunione che costituiscono la base delle decisioni successivamente adottate.

Si ricorda che l’elemento di maggiore importanza sul quale, in caso di contenzioso, può giocarsi l’insindacabilità dell’organo collegiale nell’espressione del suo apprezzamento discrezionale e tecnico-didattico è la motivazione.

In altre parole, qualora la motivazione espressa dal Consiglio di classe in sede di valutazione finale risulti insufficiente il giudice potrebbe accogliere il ricorso della famiglia, com’è accaduto in occasione della sentenza del Consiglio di Stato n. 3187 del 1997 o nella sentenza del TAR del Lazio n. 31203 del 2010.

Il principio di trasparenza della pubblica amministrazione richiede che ogni singolo alunno sia scrutinato analizzando la sua situazione personale e considerando tutto il percorso da lui compiuto.

Le sottoscrizioni a verbale costituiscono – ai sensi dell’art. 3 della Legge 241/1990 – strumenti di prova per dimostrare l’esistenza dell’avvenuta discussione.

I voti

In primo luogo, il docente di ogni disciplina ha il compito di formulare una “proposta di voto” per ciascun alunno.

Va innanzitutto ricordato che, mentre durante l’anno scolastico, nell’ambito della libertà di insegnamento, non sussiste alcun divieto all’utilizzo di frazioni di voto o di simboli (+ o -), in sede di scrutinio finale il docente deve effettuare la proposta di voto in decimi con voto intero.

In base al principio di trasparenza, ogni insegnante è tenuto inoltre a dare motivazione della sua proposta di voto, prendendo sempre come riferimento i criteri valutativi indicati dal Collegio dei docenti.

La “quantità” delle verifiche costituisce un elemento a supporto della proposta di voto.

È comunque il Collegio dei docenti a stabilire, tra i criteri da seguire per la valutazione degli apprendimenti, anche il «congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni» come affermava già il R.D. 653/1925 (art. 79).

Il numero minimo di prove non dovrebbe, in ogni caso, essere inferiore a tre scritti e tre orali per ogni quadrimestre.

A proposito di congruità del numero delle prove ai fini dell’assegnazione del voto finale, si sottolinea che tale elemento costituisce oggetto di valutazione nell’ambito di un contenzioso, come si può evincere da una sentenza del TAR Piemonte (sezione II, 24/07/2008) che ha condannato l’Amministrazione scolastica per «violazione di legge in merito alla nozione di congruo numero di prove».

Il ruolo di ogni docente

Tornando al ruolo rivestito da ciascun insegnante nel Consiglio di classe, va comunque sottolineato che ogni valutazione non deve considerarsi mera espressione del singolo docente, in quanto tutti i voti si intendono “proposti” da quest’ultimo ma validati dal Consiglio.

Il Consiglio di classe ha quindi l’autorità di discutere sulla proposta del Docente e – secondo quanto esplicitato dalla normativa e determinato dai criteri collegialmente approvati – può deliberare in modo dissimile. Il docente, tuttavia, può sempre esprimere parere contrario.

Particolare attenzione deve essere, in ogni caso, riservata alla formulazione di voti che comportino la non ammissione alla classe successiva, poiché quest’ultima, ai sensi del D.Lgs. 62/2017 e della nota n. 1865/2017, deve rappresentare un’eccezione in quanto l’ammissione è «disposta, in via generale, anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline».

La valutazione di un alunno, infatti, deve essere frutto di un processo che va registrato a verbale riportando tutti gli elementi in grado di sostenere la delibera finale, specialmente nel caso in cui la stessa sia adottata a maggioranza.

In questi casi, è fondamentale la presa in considerazione della delibera del Collegio Docenti sui criteri di non ammissione, in caso di valutazioni inferiori a 6/10 in una o più discipline, che può indicare il numero e la gravità dei voti negativi.

Il Consiglio di classe deve tuttavia prendere in considerazione anche altri elementi, quali il grado di maturazione globale raggiunto dall’alunno, le possibilità di recupero esistenti, l’impatto emotivo di un provvedimento di non ammissione e l’efficacia dello stesso ecc.

Non ammissione alla classe successiva

Per evitare che un provvedimento di non ammissione alla classe successiva sia ritenuto carente di motivazione il Consiglio deve quindi dimostrare di aver seguito un percorso di valutazione per ogni singolo alunno, nel quale – oltre ai voti riportati nelle varie discipline – siano state esplicitate le carenze formative e la valutazione dei relativi comportamenti da parte dell’alunno.

In caso di non ammissione sarebbe consigliabile allegare al verbale una relazione in cui vengano esplicitate le carenze di apprendimento nelle varie materie, gli atteggiamenti rilevati da ciascun insegnante in rapporto al mancato rispetto degli impegni scolastici e ad altri aspetti comportamentali come l’autonomia, il rispetto delle regole ecc., nonché alle strategie di recupero programmate e alle comunicazioni scuola-famiglia. La relazione dovrà concludersi evidenziando la mancanza di competenze e conoscenze tali da pregiudicare un regolare percorso di apprendimento nella classe successiva (o un’ammissione all’esame di Stato).

Non costituisce, quindi, sufficiente motivazione per una non ammissione un’affermazione del tipo: «[...] al fine di permettergli di consolidare le conoscenze e le competenze di base nelle discipline nelle quali ha manifestato maggiori difficoltà [...]».

L’importanza della motivazione

Anche nel caso in cui venga deciso di assegnare la sufficienza pur in presenza di un rendimento negativo in una o più materie, nel verbale deve essere esplicitato il processo di valutazione posto in atto dal Consiglio di classe, cioè deve essere rintracciabile la motivazione dell’attribuzione di uno o più voti superiori ai risultati effettivamente conseguiti da ciascun alunno.

La decisione del Consiglio, infatti (che, come recita la sentenza n. 2330/2001 del TAR Lombardia, «può discrezionalmente decidere di far transitare al livello superiore l’alunno») deve essere giustificata con un’adeguata motivazione in relazione al percorso compiuto dall’alunno e alle sue potenzialità di recupero.

Va sottolineato che la mancanza, nel verbale, di indicazioni anche relative al miglioramento di un giudizio nei confronti di un alunno renderebbe incompleto il verbale stesso in quanto omissivo della registrazione di situazioni analizzate durante la discussione.

La delibera finale

La parte conclusiva è quella deliberativa, di ratifica delle decisioni assunte.

Le deliberazioni che si assumono in sede di scrutinio finale devono essere prive dei vizi tipici dell’atto amministrativo.

In sede di delibera finale, anche alla luce del fatto che il Consiglio opera come collegio perfetto, non è consentita alcuna astensione.

È inoltre necessario riportare non solo il numero dei voti conseguiti dalla proposta di ammissione o non ammissione, ma anche i nominativi dei favorevoli e dei contrari (e per questi ultimi delle relative motivazioni) nel caso che le stesse non risultino già registrate nella parte del verbale riservata al dibattito prima della fase di deliberazione.

In caso di contenzioso, infatti, l’indicazione delle posizioni assunte dai singoli docenti (con le relative motivazioni) può essere un elemento di giudizio rispetto alla legittimità della decisione adottata.

Qualora, poi, un alunno venisse ammesso o meno con il voto determinante dell’insegnante di religione, l’obbligo di citazione nel verbale è esplicitamente sancito dalla normativa.

Ricordiamo infine (forse banalmente) che il Presidente, garante della legittimità della seduta, e il segretario sono tenuti a sottoscrivere il suddetto verbale: in tale occasione il segretario riveste la figura di pubblico ufficiale ed è chiamato a far fede, pena la querela di falso ex art.2700 c.c. in caso nel verbale stesso siano riportare dichiarazioni non veritiere.

E con questo, non resta che augurare a tutti una buona (e corretta) conclusione d’anno scolastico.

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