Sinergie di Scuola

Il ruolo del pubblico dipendente, e del docente in particolare, beneficia di alcuni diritti che, favorendo lo studio e la ricerca e la possibilità di esercitarli, sono posti a tutela della libera formazione e indipendenza di pensiero.

Come noto, nonostante il vigente rigido sistema di incompatibilità, è consentito ai dipendenti pubblici di svolgere docenze o di collaborare a giornali e riviste, e questa “elasticità” è anche maggiore per l’attività professionale del personale docente, che peraltro, per le peculiarità del proprio profilo professionale, svolge funzioni connesse con l’attività di approfondimento e ricerca.

Per fare un esempio del favor per l’attività, si ricordano le parole dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, che, nella nota 129 del 5/04/2011, aveva affermato: «L’attività di ricerca va, quindi, incoraggiata e sostenuta anche fuori dell’ambiente scolastico, in modo da mettere in condizione il docente di poterla espletare nella migliore maniera possibile. In tale ottica si giustificano gli istituti del congedo straordinario per dottorato di ricerca, per le borse di studio post-dottorato e per gli assegni di studio».

La normativa in tema di congedi e aspettativa per ricerca disciplina, nello specifico, i singoli diritti, corredata dalle circolari ministeriali e interpretazioni della giurisprudenza, come di seguito descritto.

Congedo straordinario per dottorato di ricerca

Il congedo straordinario per dottorato di ricerca è disciplinato dall’art. 2 della Legge 476/1984, più volte modificato, principalmente dalla Legge 240/2010 e dal D.Lgs. 119/2011.

A norma della disposizione, il congedo straordinario può essere concesso ai pubblici dipendenti ammessi al dottorato di ricerca, compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione, senza assegni e per la durata del corso se si usufruisce di borsa di studio. Se non se ne fruisce, o si rinuncia alla borsa di studio, l’interessato conserva il trattamento economico e tutti gli oneri connessi, a carico dell’amministrazione. Il periodo di congedo è comunque sempre utile per le progressioni di carriera, il trattamento di quiescenza e di previdenza.

A norma del medesimo articolo, come modificato successivamente da interventi successivi viene specificato poi che:

  • qualora il rapporto con l’amministrazione cessi nei due anni successivi il conseguimento del dottorato e per volontà del dipendente, lo stesso debba restituire gli importi;
  • non hanno diritto al congedo coloro che abbiano già conseguito il dottorato di ricerca o abbiano beneficiato del congedo per essere stati iscritti per almeno un anno accademico.

La circolare MIUR del 22/02/2011, n. 15, regola alcuni punti della normativa, specificando ulteriormente:

  • che il congedo non si può prorogare oltre la durata del corso, nemmeno per la preparazione e la discussione della tesi (periodo per cui può soccorrere l’aspettativa di cui all’art. 18 CCNL, che appunto consente periodi di aspettativa anche per motivi di studio, ricerca o dottorato di ricerca) – sul punto, si veda oltre il parere conforme della Corte dei Conti;
  • che le norme relative al congedo possono estendersi anche al personale a tempo determinato, ma che «le predette disposizioni esplicano la propria validità esclusivamente sotto il profilo giuridico (riconoscimento del servizio ai fini previsti dalle vigenti disposizioni), non ritenendosi che le stesse possano esplicare la validità sotto il profilo economico (conservazione della retribuzione per il periodo di frequenza del dottorato)» – anche su questo punto si è espressa di recente la giurisprudenza, con un principio di diritto della Corte di Cassazione riportato più avanti;
  • che la normativa relativa ai congedi è applicabile anche al caso di borse di studio concesse da Stati o Enti stranieri, anche per quanto concernente il trattamento economico;
  • che la ripetizione degli importi è dovuta qualora il rapporto di lavoro cessi volontariamente nei due anni successivi con l’amministrazione pubblica, intendendosi con essa non solo quella del comparto ma la “pubblica amministrazione” in generale. Tale previsione è pienamente conforme con il favor concesso alla fruizione del congedo, connesso al beneficio che ne tragga la pubblica amministrazione in termini di accrescimento di professionalità e competenze intese in senso ampio – beneficio che, di fatto, verrebbe meno in caso di cessazione volontaria del rapporto;
  • che non sono tenuti alla ripetizione degli importi i dipendenti che durante il dottorato abbandonino il corso per assumere il ruolo di ricercatore universitario, oppure assumano tale servizio prima della scadenza dei due anni sopra previsti;
  • che comunque il congedo straordinario, per le modifiche normative sopravvenute, può essere concesso «compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione», a differenza di quanto avveniva prima della vigenza della Legge 240/2010.

Onere di motivazione per provvedimenti di diniego

Come appena accennato, la Legge 240/2010 ha subordinato la concessione del congedo alla compatibilità con le esigenze dell’amministrazione. Non essendo altrimenti specificato in cosa consistano dette esigenze e i confini della discrezionalità del Dirigente, va ricordato che la motivazione degli atti costituisce, ai sensi dell’art. 3 Legge 247/1990, un obbligo di legge, che deve essere tanto più osservato con scrupolo in caso di provvedimento limitativo dei diritti altrui.

Sul punto della motivazione del rifiuto dell’istanza di congedo, proprio di recente, il TAR Liguria con la pronuncia n. 626/2018, ha rammentato che «il collocamento in aspettativa, così come un suo eventuale diniego, è subordinato ad un’attenta valutazione da parte dell’Amministrazione di appartenenza alle sue esigenze organizzative, delle quali la stessa deve rendere conto fornendo una motivazione rigorosa che, a maggior ragione nel caso di diniego, esprima le oggettive ragioni di incompatibilità del collocamento in aspettativa richiesto dal dipendente con gli interessi e la funzionalità della P.A.».

Per la magistratura amministrativa, il beneficio previsto è espressione del diritto allo studio, costituzionalmente garantito; quindi «la legittimità del provvedimento di diniego è pertanto subordinata ad una specifica valutazione e ad una conseguente rigorosa motivazione non già rispetto alle generiche esigenze organizzative complessive dell’amministrazione di provenienza, ma con riferimento alla professionalità, al ruolo e alle peculiarità di impiego dell’interessato, onde valutare se ricorrano effettivamente ragioni ostative all’accoglimento della sua domanda».

Tali indicazioni corroborano l’assunto per cui la motivazione del provvedimento di diniego deve essere stringente e rigorosa, anche al fine di evitare soccombenza in sede di contenzioso, come nel caso giurisprudenziale accennato.

Durata del congedo

In tema di durata del congedo, anche la Corte dei Conti, sezione Veneto, con il parere n. 238/2016, ha ribadito che la concessione del diritto è frutto di una valutazione ponderata del Dirigente «tra l’interesse all’organizzazione e all’efficienza del suo ufficio, e l’interesse alla ricerca scientifica e tecnica di cui beneficia la collettività» e pone in capo al richiedente un interesse legittimo.

La Corte, tuttavia, ha specificato che la durata del congedo non può andare oltre la durata del corso, e che, qualora necessitassero tempi ulteriori per altri motivi, anche collegati al completamento della tesi, si debba ricorrere al diverso istituto dell’aspettativa per motivi di studio; la durata legale del corso di studi, anche per opinione del giudice contabile, non corrisponde quindi al periodo di tempo impiegato per conseguire il titolo (che ben può essere più ampio della durata legale), ma alla durata legale del corso.

Rammenta la Corte che «l’articolo 2 della legge 476/1984 prevede che il congedo venga concesso “per l’intera durata del corso” e non oltre. Alla luce della testuale portata della disposizione, appare condivisibile l’osservazione secondo cui non sia possibile la concessione di una proroga del congedo straordinario oltre tale limite “anche in considerazione dell’aggravio di spesa che ne deriverebbe che, peraltro, non troverebbe giustificazione in alcuna disposizione normativa” (circ. MIUR n. 15 del 22/02/2002). Il docente che, quindi, non abbia potuto predisporre e discutere nel termine di durata legale del corso di dottorato la tesi finale può comunque ricorrere all’istituto dell’aspettativa per motivi di studio di cui all’articolo 18, comma 2, del CCNL 2007 sopra riportato, aspettativa che rimane disciplinata dagli art. 69 e 70 del DPR 3/1957 (richiamati dalla norma contrattuale) e, quindi, ha durata limitata (non oltre un anno), è senza assegni e non viene computata ai fini della progressione di carriera, a differenza del congedo straordinario riconosciuto dal più volte citato art. 2 della legge 476/1984».

La Sezione, condividendo la ricusazione del visto della competente Ragioneria territoriale, ricorda poi che «Occorre, inoltre, soggiungere che dirimente, ai fini della legittimità dell’atto concessivo dell’aspettativa di che trattasi, è la conoscenza e/o conoscibilità della durata legale del corso. In tanto, infatti, la concessione dell’aspettativa (congedo straordinario) può essere ritenuta legittima in quanto il periodo di aspettativa concesso rientri nella durata legale del corso di studi [...]».

Congedo e docenti con contratto a tempo determinato

A norma della circolare MIUR citata, la categoria di lavoratori in questione avrebbe diritto al congedo ma non agli emolumenti economici, a differenza del restante personale a tempo indeterminato.

Sul punto sono intervenute alcune interpretazioni giurisprudenziali, come quella del Tribunale del lavoro di Verona, che con la pronuncia n. 360 del 26/05/2011 (antecedente all’intervento della Legge 240/2010, che restringe i casi di concedibilità del beneficio alla compatibilità con le esigenze dell’amministrazione), richiamando il principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato di cui all’art. 6 della Legge 368/2000, ritenne di estendere al personale a tempo determinato un diritto non esplicitamente escluso dalla normativa vigente, ma inibito dalla circolare del MIUR.

Se certamente, come visto, è necessario che i provvedimenti di diniego nei confronti di una richiesta di congedo ritenuta non concedibile, siano adeguatamente motivati e il più possibile ancorati a criteri equi e trasparenti, si deve dar conto di tendenze giurisprudenziali recenti restrittive.

Proprio la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3096 del febbraio 2018, e in contrasto con le decisioni del Tribunale e della Corte di Appello che avevano riconosciuto nel caso in questione, e in virtù del principio di non discriminazione, il diritto di un docente a tempo determinato di fruire del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza durante il periodo di congedo, specifica che il periodo di due anni di permanenza nel posto di lavoro dopo il conseguimento del titolo, previsto dal legislatore per consentire all’amministrazione di fruire dei benefici degli studi, è adeguato e necessario contrappeso al sacrificio che subisce l’Amministrazione, che giustifica la deroga al principio di sinallagmaticità. Tale deroga sarebbe per questo immotivata per il personale a tempo determinato.

Il principio di diritto sul punto emanato dalla Cassazione è quindi il seguente: «L’aspettativa retribuita in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca, prevista dall’art. 2 della legge 13/8/1984 n. 476, come modificato dall’art. 52, comma 57, della legge 22/12/2001 n. 448, è stata riservata dal legislatore al rapporto a tempo indeterminato, come si desume dal riferimento alla prosecuzione del rapporto, per un periodo minimo di durata, dopo il conseguimento del dottorato. La limitazione agli assunti a tempo indeterminato non contrasta con il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE nel caso in cui non vi sia compatibilità fra la condizione risolutiva prevista dallo stesso art. 2, giustificata da una legittima finalità, e la durata del contratto a termine, tale da non consentire, dopo il conseguimento del dottorato, la prosecuzione almeno biennale del rapporto».

Aspettativa

Il CCNL Scuola vigente, con l’art. 18, comma 1 recita: «L’aspettativa per motivi di famiglia o personali continua ad essere regolata dagli artt. 69 e 70 del T.U. approvato con D.P.R. n. 3 del 10/01/1957 e dalle leggi speciali che a tale istituto si richiamano. L’aspettativa è erogata dal Dirigente scolastico al personale docente e ATA. L’aspettativa è erogata anche ai docenti di religione cattolica di cui all’art. 3, commi 6 e 7 del D.P.R. 399/1988, e al personale di cui al comma 3 dell’art. 19 del presente CCNL, limitatamente alla durata dell’incarico. Ai sensi della predetta norma il dipendente può essere collocato in aspettativa anche per motivi di studio, ricerca o dottorato di ricerca».

La disposizione, non modificata sul punto dal nuovo contratto nazionale per le disposizioni che riguardano la Scuola, prevede diverse tipologie di aspettativa, anche per motivi di studio, ricerca o dottorato di ricerca.

Per quanto riguarda la durata dell’aspettativa, l’art. 18 richiama le disposizioni di cui agli artt. 69 e 70 del D.P.R. 3/1957, che dispongono termini massimi per la fruizione dell’aspettativa (un anno per periodo; massimo due anni e mezzo in un quinquennio), ma solo per le aspettative per motivi personali e familiari; il termine massimo previsto dal T.U. 3/1957, infatti, è applicabile ai casi di specie, sia perché questi sono riferiti ad ipotesi speciali, sia perché la normativa di settore prevede il diritto all’aspettativa, sia nel caso di assegno di ricerca che di contratto di ricerca, perdurante per la durata dello stesso.

È necessario tenere in considerazione le singole discipline anche in relazione ai termini di durata, che divergono e non sono cumulabili ma necessitano delle specifiche differenziazioni.

La legge attualmente distingue tra:

a) Aspettativa per assegno di ricerca

Disciplinata dall’art. 22 della Legge 240/2010, regola il caso di conferimento di assegni per attività di ricerca da parte di Università ed enti pubblici di ricerca; gli assegni possono essere di durata ricompresa tra uno e tre anni, rinnovabili e non cumulabili con borse di studio (se non concesse per integrare l’attività di ricerca).

La durata complessiva degli assegni, compresi i rinnovi eventuali, non può superare i quattro anni (ad esclusione del periodo di coincidenza con il dottorato di ricerca per la durata massima di durata legale del corso) e comporta il collocamento in aspettativa senza assegni del dipendente pubblico richiedente. La durata complessiva è stata comunque prorogata di due anni a norma del D.L. 192/2014, convertito nella Legge 11/2015. In questo caso, sembra non sussista margine discrezionale per il dirigente.

Dispone il comma 9 che la durata complessiva dei rapporti ascritti ad assegno di ricerca e contratto di ricerca non possa eccedere i 12 anni, anche non continuativi, e non rilevano, ai fini del computo, i periodi di aspettativa per maternità o malattia.

b) Aspettativa per contratto di ricerca

È fattispecie disciplinata dall’art. 24 della medesima Legge 240/2010, e rivolta ai ricercatori a tempo determinato che possono stipulare contratti di lavoro subordinato, a tempo determinato, con le Università; i contratti possono essere di tipologie diverse e di diversa durata.

Per quanto in questa sede di interesse, va sottolineato quanto disposto dal comma 9-bis (introdotto con il D.L. 5/2012, convertito nella Legge 35/2012) a norma del quale «Per tutto il periodo di durata dei contratti di cui al presente articolo, i dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono collocati, senza assegni ne’ contribuzioni previdenziali, in aspettativa ovvero in posizione di fuori ruolo nei casi in cui tale posizione sia prevista dagli ordinamenti di appartenenza».

Anche questa terminologia fa deporre per una concessione non discrezionale da parte del Dirigente della particolare tipologia di aspettativa, che perdura per l’intera durata del contratto, fatto salvo il limite dei dodici anni complessivi sopra visto.

Sul punto della durata del dottorato di ricerca e pagamento emolumenti per il periodo di proroga, è intervenuta di recente la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, che, conformemente a quanto sopra riportato, con la sentenza 432 del 2019 ha enunciato il seguente principio di diritto:

[...] l’art. 2 della legge n. 476/1984, come modificato dall’art. 52, comma 57, della legge n. 448/2001, in caso di ammissione ai corsi di dottorato di ricerca, riconosce il diritto soggettivo del dipendente pubblico ad essere collocato in aspettativa ed a conservare il trattamento economico previdenziale e di quiescenza in godimento presso l’amministrazione di appartenenza per il solo periodo di durata normale del corso, con esclusione della proroga, anche se autorizzata secondo il regolamento di ateneo.

Il ricorso, in questo caso, era stato presentato da un Comune relativamente ad una pronuncia della Corte territoriale favorevole ad un proprio dipendente.

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